Ferrochelatasi: funzioni, esposizione al piombo

La ferrochelatasi o protoporfirina ferrochelatasi è un enzima appartenente alla classe delle liasi che catalizzano reazioni in cui vi è la rottura di diversi legami chimici in processi diversi rispetto all’idrolisi e all’ossidazione.

Essa è localizzata nella membrana interna mitocondriale dove è associata alla membrana mitocondriale interna con il sito attivo rivolto verso la matrice mitocondriale ed è  l’enzima finale nella via biosintetica dell’eme. L’idea che l’inserimento del ferro per produrre l’eme sia avvenuto enzimaticamente nasce da studi della metà degli anni ’50.

Studi sulla caratterizzazione dell’inserzione di ferro nella protoporfirina mediante estratti cellulari di reticolociti aviari provenivano da Alfred Lewis Goldberg  professore  presso l’Università di Harvard 

Esse hanno proprietà catalitiche simili in organismi diversi, ma situate in posti diversi. Le ferrochelatasi sono proteine monomeriche codificate come EC 4.99.1.1 e con massa molare da 36 a 40 kDa.

Funzioni

Questo enzima catalizza l’inserzione del ferro (II) nella protoporfirina (IX) che costituisce l’ultimo stadio  nella formazione del gruppo eme. In assenza di ferro e in condizioni aerobiche, l’enzima utilizzerà zinco o mercurio come sostituto.

Negli organismi fotosintetici, le ferrochelatasi e le magnesio chelatasi si trovano in un percorso da cui si verifica la partizione lungo le vie dell’eme e della clorofilla

Reazione

La reazione catalizzata può essere rappresentata come:

protoporfirina (IX) + Fe2+ ⇄ eme + 2 H+

reazionePer la formazione dell’eme  sono necessarie sostanze quali  acido ascorbico, cisteina o glutatione oltre che Ferro (II).

Inibizione

L’aumento dello stress ossidativo, come conseguenza generale di una varietà di patologie, altera i processi regolatori per diminuire la sua attività, seguita da una riduzione della sintesi dell’eme

La ferrochelatasi è inibita dal piombo, che compete con il ferro per il legame al sito attivo dell’enzima. L’esposizione al piombo e la conseguente inibizione dell’enzima produce un accumulo di protoporfirina IX negli eritrociti: la quantificazione di tale intermedio metabolico è infatti usata per valutare le eventuali entità del danno biologico in soggetti esposti al rischio.

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