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Acido usnico e rischi: sintesi, usi

L’acido usnico è un derivato del dibenzofurano, eterociclo aromatico, costituito da due anelli benzenici e uno di furano condensati

acido usnico

Nel 1844 dal chimico tedesco Wilhelm Knop isolò per primo l’acido. Esso è presente in molti generi di licheni e da allora è diventato uno dei metaboliti dei licheni maggiormente studiati.

I licheni, che sono diffusi in particolare nei paesi nordici e costituiscono un ottimo cibo per renne, caribù e alci contengono molte sostanze le cui potenzialità farmacologiche sono state studiate a partire dagli inizi del XX secolo.

Proprietà

L’acido usnico che, in condizioni normali, è di colore giallo e ha un sapore amaro presenta vari tipi di attività biologica. In particolare ha un’attività antimicrobica contro gli agenti patogeni e vegetali, compresa l’attività inibitoria contro i ceppi batterici resistenti agli antibiotici.

Usi

L’acido usnico è stato utilizzato per applicazioni in campo medico e cosmetico in:

In alcuni casi quale principio attivo, in altri come conservante per la sua attività antimicrobica.

L’azione dell’acido usnico è tuttavia limitata a batteri Gram positivi come lo strafilococco e lo streptococco. Pertanto è presente in molti deodoranti dato che i batteri Gram positivi sono tra i principali cause dello sviluppo di cattivi odori.

Inoltre è utilizzato in formulazioni destinate alla prevenzione delle carie come dentifrici e colluttori in quanto l’acido usnico esplica una inibizione selettiva nei confronti dello Streptococcus mutans che è uno dei principali agenti eziologici delle carie dentali.

Poiché secondo alcuni studi l’acido usnico esplica un’azione inibitoria a carico di enzimi coinvolti nel metabolismo dei lipidi esso è presente in alcuni integratori alimentari utilizzati per la perdita di peso sebbene non vi siano solide basi che certifichino questa attività.

Ciò che invece appare certo  è che l’acido usnico, assunto per via orale, specie se utilizzato in dosi elevate, può portare a danni epatici acuti.

Secondo quanto riportato dal Journal of Hepatology i danni a carico del fegato ne hanno reso necessario il trapianto.

I danni epatici di cui è attestata l’incidenza sarebbero dovuti all’inibizione della respirazione mitocondriale ed induzione alla morte degli epatociti da parte dei radicali liberi.

L’opinione pubblica dovrebbe essere maggiormente sensibilizzata relativamente ai rischi che sostanze, spesso di origine naturale, i cui effetti non sono peraltro provati, possono portare.

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