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Datazione con il radiocarbonio: isotopi radioattivi

La datazione con il radiocarbonio è un metodo che fornisce una stima dell’età per materiali a base di carbonio originati da organismi viventi

La Terra è investita da una radiazione cosmica la cui componente primaria è costituita da protoni di energia elevatissima. Essi interagiscono con la materia negli strati superiori dell’atmosfera, generando sciami di particelle secondarie. Esse  a loro volta possono indurre reazioni nucleari nei gas dell’aria.

Ad esempio:

147N  + 10 n → 146C + 11H

147N  + 10 n → 126C + 31H

Isotopi radioattivi

Assumendo costante il flusso dei raggi cosmici e la composizione dell’atmosfera, gli isotopi radioattivi così formati raggiungono, dopo un sufficiente periodo di tempo una concentrazione stazionaria, che rappresenta lo stato di equilibrio tra i loro processi di formazione e quelli di decadimento.

Benché tale concentrazione non sia in genere elevata, ad esempio vi è solo un atomo di 3H naturale per ogni 1016 atomi di 1H, nondimeno è possibile misurarla con tecniche di arricchimento e di conteggio. Il fatto che la concentrazione di 146C sia rimasta presumibilmente stazionaria nel corso degli ultimi 50.000-100.000 anni fornisce la base di un metodo messo a punto dal chimico statunitense W.F. Libby tra il 1945 e il 1955 (vincitore del Premio Nobel nel 1960), per datare campioni di materiale organico.

Infatti un tessuto vivente come, ad esempio una pianta, che produce il materiale organico come, nella fattispecie il legno, è in equilibrio con l’atmosfera durante la sua vita. Quindi il legno contiene una certa concentrazione di 146C corrispondente a quella della CO2 utilizzata dalla pianta per sintetizzarlo. Morta la pianta, cessano gli scambi gassosi e la concentrazione di 146C decresce a causa del suo decadimento. Per esempio i campioni di petrolio sono assolutamente privi di 146C in quanto formulati in ere geologiche così lontane che tutto il 146C in essi contenuto è, nel frattempo, decaduto.

Tempo di dimezzamento

La concentrazione di 146C decresce secondo la legge

N = Noe-0.693(t/T)

 

dove T, tempo di dimezzamento del 146C corrisponde a 5730 anni. Misurando con contatori molto sensibili il numero N di atomi di carbonio contenuti in ogni grammo di carbonio del reperto che si intende datare, e assumendo che il loro numero iniziale No fosse uguale al numero di atomi di 146C contenuti in ogni grammo di C che si trova negli organismi attuali, assumendo cioè che il flusso dei raggi cosmici sia rimasto invariato, è possibile calcolare t, ovvero l’età del reperto.

Per esempio un manufatto ligneo datato 5000 anni contiene una quantità di carbonio pari a circa la metà di quella iniziale dal momento che l’età dell’oggetto è vicina a quella di dimezzamento del 146C. L’applicabilità del metodo di datazione con il radiocarbonio, che ha importanti riflessi storici e archeologici, si estende a un massimo di 20.000-25.000 anni.

Limiti

Questo metodo, tuttavia, presenta alcuni limiti in quanto l’ipotesi fondamentale su cui si basa , ovvero la costanza del rapporto 146C/126C, nel corso dei millenni non è del tutto fondata. Gli archeologi hanno dimostrato, per esempio, che alcuni manufatti trovati in tombe egizie  di una determinata dinastia, e aventi quindi una datazione sicura, risultavano al metodo del radiocarbonio molto più recenti.

Questo fenomeno si spiega che la quantità di carbonio radioattivo presente nell’atmosfera all’epoca dei Faraoni, fosse maggiore del previsto. Studi effettuati hanno evidenziato che nei millenni si sono verificate sensibili fluttuazioni nella quantità di 146C: ad esempio il carbonio-14 in reperti del 400 a.C. è lo stesso che in altri del 7000 a.C.

Dal XX secolo in poi le modificazioni non più naturali, ma prodotte dall’uomo, sono divenute evidenti. L’aumentato consumo di combustibili fossili che contengono pochissimo carbonio-14 tendono ad abbassare il contenuto percentuale di questo isotopo nell’atmosfera. All’opposto nuovo 146C di origine artificiale è stato generato da esperimenti nucleari.

Metodi alternativi

Per questi motivi hanno sempre più preso piede metodi alternativi come la termoluminescenza che si basa sull’emissione di luce da parte di alcuni cristalli.

I materiali e gli oggetti di interesse archeologico costituiti da

  • ceramiche
  • terrecotte
  • porcellane

infatti, possono essere datati con tale metodo in quanto una parte dei componenti da cui essi sono costituiti e, in particolare quarzi e feldspati, è termoluminescente.

Questi ultimi immagazzinano gli elettroni che hanno subito un’interazione con radiazioni α, β e γ a causa dell’irraggiamento naturale. Riscaldando la sostanza ad una certa temperatura si ottiene una emissione luminosa. La cottura della ceramica elimina ogni termoluminescenza e da quel momento quest’ultima ricomincia ad accrescere nel tempo e viene rilevata tramite fotomoltiplicatori.  Questa quantità dipende dal tempo trascorso dalla cottura e può costituire un metodo di datazione  utile anche se è da tener presente che si tratta di una tecnica distruttiva

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