Elettrodi polarizzabili e impolarizzabili chimicamo e1618552781811

Elettrodo polarizzabile e impolarizzabile

Un elettrodo è polarizzabile se, in seguito al passaggio della corrente, muta sensibilmente le sue caratteristiche superficiali o induce alterazioni apprezzabili nell’elettrolita.

Consideriamo un semielemento galvanico ovvero un sistema costituito da un metallo immerso in un soluzione elettrolitica. Il passaggio di corrente è possibile solo quando due di questi semielementi sono accoppiati. Si possono avere due casi:

1)      Elettrodo polarizzabile

2)      Elettrodo impolarizzabile

Elettrodo polarizzabile

Il primo è il caso di un elettrodo immerso in una soluzione nella quale non sono presenti sostanze reattive come, ad esempio, un elettrodo di mercurio immerso in una soluzione acquosa di fluoruro di sodio. Un tale elettrodo non è in grado di mettersi in equilibrio elettrochimico e non scambia cariche con la soluzione. Esso, non assume, quindi, alcun potenziale definito e sarà solo in equilibrio elettrostatico. Ciò implica che se dall’esterno vengono inviati elettroni sull’elettrodo essi rimangono sul metallo caricandolo negativamente senza passare a specie presenti in soluzione. L’elettrodo è detto polarizzabile perché il suo potenziale può essere variato a piacere dall’esterno e esso risponde solo alle leggi dell’equilibrio elettrostatico. Questo tipo di elettrodo risulta utile per lo studio della struttura della zona interfasale elettrodo/soluzione, che ha notevole influsso nella cinetica elettrochimica.

Elettrodo impolarizzabile

Un elettrodo impolarizzabile è, invece, un elettrodo immerso in una soluzione contenente una specie reattiva su cui si stabilisce un equilibrio elettrochimico. Il potenziale di equilibrio di tale elettrodo è definito dal valore della variazione di energia libera della reazione chimica e quindi non può essere cambiato dall’esterno per polarizzazione. Esso può essere cambiato solo variando ∆G, cioè la concentrazione di almeno una delle specie reattive.

Gli elettrodi polarizzabili e non polarizzabili sono solo astrazioni ideali. In pratica, l’elettrodo di mercurio assume un potenziale che dipende dalle impurezze presenti in soluzione mentre gli elettrodi impolarizzabili possono essere polarizzati perché le reazioni elettrochimiche sono attivate e presentano quindi resistenze più o meno forti al passaggio di corrente. In definitiva gli elettrodi pratici avvicinano le condizioni degli elettrodi ideali entro ben determinati campi di potenziale in cui possono essere trattati con le equazioni derivanti dalla trattazione teorica.

Un’ulteriore distinzione che bisogna fare è tra reazione a trasferimento elettronico e reazione a trasferimento ionico.

Bisogna tener presente, infatti, che la reazione elettrochimica è dovuta al differente stato energetico iniziale e finale della specie che si muove attraverso la zona di reazione, ovvero della specie che viene trasferita. Se le reazioni sono a trasferimento elettronico, è necessario porre l’attenzione sugli elettroni e seguire il loro cammino dall’elettrodo alla soluzione. Se le reazioni sono a trasferimento ionico la specie da considerare è uno ione.

Si consideri un elettrodo di platino immerso in una soluzione contenente ioni Fe2+ e Fe3+. La forza chimica da prendere in considerazione è il ∆G della reazione:

Fe3+(s) + e(M) → Fe2+(s)

in cui (S) e (M) stanno ad indicare la fase in cui si trovano rispettivamente le particelle: S = soluzione; M = metallo. Uno ione Fe2+ può essere visto come uno ione Fe3+ a cui è stato aggiunto un elettrone quindi:

Fe2+(s) → Fe3+(s) + e(s)

dove e(s) significa lo stato di un elettrone sul livello accettante dello ione Fe3+ in soluzione. Combinando le due relazioni si ha: e(M) → e(s) . Questa equazione indica la natura di reazione a trasferimento elettronico della reazione Fe3+(s) + e(M) → Fe2+(s). L’elettrone che lascia il metallo finisce quindi nella soluzione dopo aver attraversato la zona di reazione. La forza chimica sarà quindi:

∆G = μeS– μeM

Se ∆G ˂ 0 all’atto dell’immersione ioni Fe3+ tendono a catturare elettroni dal metallo. L’elettrodo si carica positivamente rispetto alla soluzione creando una barriera di potenziale che si oppone all’ulteriore cessione di elettroni. All’equilibrio quindi:

∆G = – e ∆SMφ  (1)

dove ∆SMφ = φM – φS è la differenza di potenziale che si è creata in soluzione.

μiS è il potenziale chimico dello ioni i in soluzione. Analogamente al caso degli elettroni in un metallo, μiS è una misura della forza che lega lo ione alla soluzione e rappresenta l’energia chimica di idratazione. Per definizione, per un singolo ione:

μiS = μio + kT ln ai  (2)

dove μio è il potenziale chimico nelle condizioni standard (ai=1) e ai è l’attività:

ai= γci  (3)

dove γ è il coefficiente di attività dello ione e ci la sua concentrazione. Poiché l’attività di un elettrone in un metallo si considera sempre unitaria e quindi μeM≡ μ°eM dalla (1) tenendo conto della (2) e della (3) si ha:

∆G° + kT ln (afe3+/Fe2+) = – e∆SMφ

che si trasforma in:

SMφ = ∆SMφ° + (kT/e) ln (aFe3+/a Fe2+)

dove SMφ°  è il potenziale dell’elettrodo in condizioni standard. Quest’ultima equazione è la classica forma dell’equazione di Nernst.

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