I colloidi: proprietà, effetto Tyndall

I colloidi consistono  di due fasi di cui  una è quella costituita da una sostanza di dimensioni microscopiche e l’altra è una fase continua disperdente.

Un sistema eterogeneo costituito da una fase continua ( fase disperdente) nella quale sono disperse particelle di un’altra fase, non mostra variazioni discontinue delle sue proprietà quando la grandezza delle particelle della fase dispersa è fatta man mano diminuire fino alle dimensioni atomiche.

Per particelle con dimensioni maggiori di 1000 Ǻ il sistema è detto macrodisperso. Se le dimensioni delle particelle sono comprese tra 1000 e 10 Ǻ il sistema è detto disperso colloidalmente e dà luogo alla formazione di colloidi

Per particelle inferiori a 10 Ǻ si parla di soluzioni vere. A differenza delle soluzioni vere , come quelle ottenute ad esempio disciogliendo cloruro di sodio in acqua nelle quali non è in alcun modo possibile distinguere le particelle di soluto da quelle del solvente, in un sistema colloidale, come ad esempio quello ottenuto disperdendo in un liquido, un solido allo stato di estrema suddivisione, è possibile in qualche modo osservare le particelle disperse.

Mentre per le soluzioni vere le particelle di soluto, infatti non sono osservabili neppure con un microscopio elettronico il cui limite di visibilità è appunto 10 Ǻ nei sistemi colloidali la fase dispersa è visibile non solo con il microscopio elettronico ma  con un ultramicroscopio che consente l’osservazione di particelle con il diametro maggiore o uguale a 20 Ǻ e, in taluni casi è sufficiente anche un microscopio che consente l’osservazione di particelle con diametro maggiore o uguale a 2000 Ǻ.

Effetto Tyndall e colloidi

Il fatto che le particelle dei colloidi possano essere osservate con l’ultramicroscopio è dovuto alla loro proprietà di disperdere la luce visibile. Infatti mentre un sottile raggio di luce visibile che attraversa una soluzione vera, non può essere visto da un osservatore che si trova lateralmente al raggio, in quanto le particelle di soluto hanno diametro troppo piccolo rispetto alla lunghezza d’onda della luce visibile, il percorso del medesimo raggio luminoso che attraversa un sistema colloidale può essere visto dall’osservatore, in quanto il diametro delle particelle colloidali disperse è sufficientemente grande per disperdere la luce visibile. Questo fenomeno è noto come effetto Tyndall e dovuto al fisico irlandese John Tyndall.

Il fenomeno è facilmente rilevabile nella vita di tutti i giorni ad esempio osservando dei raggi di luce quando attraversano sistemi in cui sono sospese o disperse delle particelle solide o liquide (ad esempio della polvere o delle gocce d’acqua).

Ultramiscroscopio

L’effetto Tyndall ha trovato un’importante applicazione con l’ultramicroscopio mediante il quale è stato possibile calcolare le dimensioni medie delle particelle colloidali.

tyndall effect 1 da ChimicamoInfatti con l’ultramicroscopio, che è un comune microscopio nel quale però l’oggetto da osservare è osservato perpendicolarmente rispetto all’asse ottico dello strumento, le particelle colloidali sebbene non possano essere osservate come entità distinte nel mezzo in cui esse si trovano disperse, essendo capaci di disperdere la luce visibile possono essere osservate come tanti punti luminosi che si muovono disordinatamente su un fondo oscuro.

Contando il numero di particelle colloidali disperse in un volume noto del sistema colloidale in esame se ne può calcolare il numero di unità per volume. Nota poi la massa di sostanza dispersa nell’unità di volume del sistema si può calcolare la massa media di una particella colloidale. Ammettendo che la densità delle particelle sia uguale a quella della sostanza allo stato non disperso dalla definizione di densità di una sostanza  si ottiene quest’ultima grandezza. Ammettendo infine che la forma della particella dispersa sia sferica se ne può calcolare il diametro.

Tramite l’ultramicroscopio è  inoltre osservato che i punti luminosi, ovvero le particelle colloidali, sono animati da vivaci pulsazioni nel senso che sono in continuo e disordinato movimento in tutte le direzioni. Questo movimento noto con il nome di moto browniano è provocato dagli urti continui che le molecole del mezzo disperdente esercitano sulle particelle colloidali.

Moti browniani

Nel 1828 il botanico Robert Brown, esaminando al microscopio una goccia d’acqua, osservò che alcuni granellini di polline si muovevano secondo traiettorie a zig-zag in maniera irregolare e occasionale come fossero dotati di vita.

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Successive esperienze convinsero Brown che non si trattava di movimenti attivi di esseri viventi, constato che qualsiasi corpo inanimato, sufficientemente piccolo, sospeso in acqua, acquistava un moto molto simile a quello del polline: unica condizione era la piccolezza dei granellini. Questo fenomeno rimase inspiegato fin quando, con la scoperta della teoria cinetica molecolare, si comprese che esso era dovuto agli urti che i granellini subiscono da parte delle molecole del liquido. Poiché, in generale, l’impulso che il granulo riceve dalle molecole che lo
colpiscono da un lato, è un po’ diverso da quello che lo imprimono dal lato opposto, il granulo è spinto di qua e di là, eseguendo quel movimento irregolare che viene osservato.

Proprietà 

Una proprietà fondamentale dei colloidi è quella legata ad un fenomeno noto come dialisi  osservato per la prima volta da Graham il quale iniziò i primi studi attorno al 1860. Egli analizzò il comportamento di una serie di soluzioni che teneva separate dal solvente mediante una membrana di pergamena. Notò che mentre le particelle di alcune di queste sostanze diffondevano facilmente dalla soluzione al solvente puro, attraversando la membrana, le particelle di altre sostanze venivano invece trattenute dalla membrana di pergamena.

 

Dialysis 3 1 da ChimicamoGraham pertanto chiamò cristalloidi quelle sostanze che allo stato solido si presentavano in forma ben cristallizzata, come ad esempio il cloruro di sodio, lo zucchero ecc. e che sciolte in acqua formavano soluzioni vere dalle quali le particelle di soluto diffondevano facilmente attraverso la membrana di pergamena che le separava dal solvente puro; chiamò colloidi ( dal greco simili alla colla) quelle sostanze che allo stato solido si presentavano come masse amorfe, come ad esempio l’amido, la gelatina, l’albumina ecc. e che sciolte in acqua, formavano delle soluzioni colloidali o pseudo soluzioni dalle quali le particelle di soluto non potevano diffondere attraverso la membrana di pergamena che le separava dal solvente puro.

La netta distinzione proposta da Graham, si dimostrò tuttavia poco aderente alla realtà. Alcune sostanze ben cristallizzate, come ad esempio la grafite, lo zolfo, il cloruro di sodio ecc. in adatte condizioni possono formare sistemi colloidali. Ad esempio il cloruro di sodio disperso nel benzene forma una soluzione colloidale. Invece altre sostanze, come  i saponi,  in una soluzione acquosa si comportano come colloidi, in soluzione alcolica hanno un comportamento simile a quello dei cristalloidi.

Stato colloidale

Pertanto lo stato colloidale non è peculiare di determinate sostanze, ma praticamente di tutte le sostanze se  disperse allo stato di estrema suddivisione in un mezzo disperdente.

Altre due proprietà dei colloidi, una delle quali è legata alla dimensioni delle loro particelle, l’altra alla massa, sono le seguenti:

    • Le particelle colloidali passano attraverso i pori anche della migliore carta da filtro: quest’ultima trattiene solo particelle il cui diametro sia maggiore di 10000 Ǻ. Questo fatto, a prima vista potrebbe far confondere una soluzione colloidale con una soluzione vera
    • Le particelle colloidali, sebbene abbiano una massa relativamente piccola, sono tuttavia più o meno sensibili all’attrazione gravitazionale. Esse pertanto sono caratterizzate da una velocità di sedimentazione che è tuttavia molto piccola e, nella gran parte dei casi, trascurabile.

Dialisi

La dialisi trova un’importante applicazione nella purificazione delle proteine da impurezze quali sali, zuccheri ecc. In questa operazione le soluzione colloidale da purificare contenuta in un recipiente il cui fondo è costituito da una membrana di cellofan, è messa a contatto, dalla parte della membrana, con un altro recipiente contenente il solvente puro.

Le piccole molecole o gli ioni da eliminare dalla proteina, diffondono attraverso i pori della membrana. Si conduce il processo fino quando non è raggiunta una uguale concentrazione di essi sia nella soluzione trattata che nel solvente. Il processo della dialisi è, tuttavia, molto lento e lo si può accelerare rinnovando continuamente il solvente ed elevando la temperatura. Se poi le impurezze sono costituite da elettroliti, ovvero da ioni  positivi o negativi, l’opportuna applicazione di una campo elettrico accelera notevolmente il processo. Esso  prende il nome di elettrodialisi.

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